Sì, questa recensione è anche un po’ dettata dalla crescente antipatia che ho maturato nei confronti di Mika, ma non solo: ho ascoltato, almeno 4 volte, No Place in heaven, l’ultima fatica dell’artista israeliano (VOLEVO DIRE LIBANESE, CHE CAPRA!), e mi sento di poterlo bocciare praticamente in toto.
Ho trovato tutte le canznoni oltremodo autocelebrative, tutte uguali, stucchevoli e soprattutto senza il brio e l’originalità che ha caratterizzati gli (ottimi) esordi di Mika: ciò che più ho trovato insostenile però è il forzatissimo ricorso (financo allo sfruttamento) della sua immagine da omosessuale, di artista gay, di cantante ispirato da gay (in Good Guys), come se nella sua vita ormai ci fosse solo quello. Sembra che dopo il coming out Mika stia sfruttando tutto questo in modo macchiettistico e esagerato, perché SI RAGAZZI, esiste anche l’omosessualità sfrontata che può e ribadisco può (nel senso, è comprensibile, quindi non aggreditemi come un omofobo) infastidire.
Il disco suona così monotono, tutto uguale, e senza nessun pezzo che si possa dire degno di nota: anche i singoli scelti, oltre ai pipponi già citati (dimenticavo Last Party) sono abbastanza tristi e buoni solo per squallide pubblicità di telefonini.
Sono pronto a prendermi i vostri insulti. Anche perché se non ho capito male lui è diventato un po’ un intoccabile tipo Jovanotti.