Mentre scrivo mi trovo su di uno di quei treni regionali luridi (la tratta è la rinomata Gorizia-Vicenza) con poco più di 4 ore alle spalle e un viaggio andata e ritorno totale di circa 6 ore: ieri sera, con le palpebre che mi si chiudevano irrimediabilmente nonostante redbull e un’intera moka di café, ho avuto il piacere di seguire la seconda serata del Festival di Sanremo 2016, nel corso della quale Elio le storie tese (meno Rocco Tanica, clamoroso in sala stampa) hanno finalmente presentato il loro nuovo, scintillante singolo Vincere l’odio, primo estratto dal disco Figgatta de blanc, la cui cover riporta l’immagine stilizzata di un sesso femminile.
Dovete sapere che tendenzialmente al primo ascolto riesco subito a capire se una canzone sanremese (anzi, se una canzone in generale) mi piace oppure no e, eccezion fatta per la splendida Adesso e qui di Malika Ayane, non mi sono mai ricreduto sulle mie impressioni iniziali: quelle suscitate dal pezzo dei sempre troppo celebrati EELST, complice forse anche la stanchezza, sono state fra l’inorridito e lo schifato.
Toccare Elio e la sua band equivale a bestemmiare, dimostrando ignoranza musicale nei confronti di quello che, a detta di tutti, è un prodotto geniale e impeccabile, frutto di virtuosismi che noi umani neanche ci possiamo immaginare: in effetti, di recente, gli EELST ci hanno regalato un pezzo sanremese sinceramente pazzesco come La canzone mononota, un esercizio di stile vero, senza poi dimenticare l’irriverente Complesso del primo maggio, da me amata (fino alle lacrime) già dal primo ascolto. Quando però ho osato criticare questa Vincere l’odio (il cui titolo e finale richiamano Perdere l’amore di Massimo Ranieri) il cielo si è aperto. Tutto come da copione.
I giornalisti che avevano avuto accesso all’anteprima del pezzo (sì, quelli stessi che poi si sono messi a criticare su Twitter le domande alle conferenze stampa dei colleghi “minori”) avevano rivelato quanto il brano fosse straordinario e rivoluzionario, visto che la sua struttura (cosa mai vista prima, e per fortuna direi) era composta da non uno ma ben 7 ritornelli, a ideale sfottò di un cliché sanremese che da sempre porta alla vittoria canzoni costruite sempre allo stesso modo.
Forse però stavolta Elio ha esagerato, dando vita a un pezzo confusionario e totalmente random. Ma non è finita qui.
Mi viene da chiedere se questa simpatia a tutti i costi non spinga gli EELST a voler “vincere facile”: se prendi ispirazione (per non dire se copi) una canzone già esistente e conosciuta, per quanto tu stia facendo ironia, stai comunque sfruttando una melodia o un testo già esistenti e allora, in casi come questi e citando il poeta, mi verrebbe da dire che vale tutto. Perché Elio può copiare e incollare 7 canzoni (o stili) diversi in una canzone ed essere imprescindibilmente definito genio mentre un Bernabei a caso (per quanto non lo apprezzi) deve farsi distruggere dalla rete e dalla critica per la sua (diciamo) rivisitazione di One last time di Ariana Grande?
Con ogni probabilità Elio le storie tese (che hanno comunque scritto un bel testo, questo glielo concedo) si porteranno a casa almeno un premio (l’ennesimo) da Sanremo 2016 per una canzone collage senza senso logico che ha cercato di accalappiare un po’ tutti. A questo punto, lasciatemelo dire, forse erano meglio tutti i laghi e tutti i luoghi di Scanu.