Sono attualmente disoccupato. Anzi, per essere più precisi, scribacchio online (non qui, visto che non mi si è inculato ancora nessuno) e combatto quotidianamente con quei soliti 5 o 6 siti che, come il sottoscritto, hanno capito perfettamente cosa la gente vuole, cosa la gente cerca, quando pubblicare gli articoli e quando non ci può manco permettere di andare a letto presto perché c’è l’evento X da seguire, ci sono i video da pubblicare e polemiche da spiegare. Se non mi sveglio alle 7, a volte, c’è il rischio che poi i miei sforzi siano inutili, è successo proprio pochi giorni fa quando ho parlato di Rise di Katy Perry (e calcolate che già a quell’ora due siti italiani ne avevano parlato, cose dell’altro mondo). Nonostante io non mi consideri attualmente disperato (al contrario!), gran parte dei miei attuali guadagni derivano proprio dalla rapidità con la quale riesco a scrivere un pezzo e da quella stessa intuizione che, purtroppo o per fortuna, hanno sviluppato decine di altre persone in Italia. E anche io, come tutti, ho i miei conti da pagare.
Ogni giorno ho a che fare, soprattutto su questo blog. con la terribile piaga dei lettori non lettori, che puntualmente mettono mi piace ai miei post senza filarseli minimamente, perché se li ritrovano nelle loro bacheche e pensano bene che cliccando un tastino mi daranno soddisfazione; stesso identico risultato per amici, amiche e parenti che sono convinti che con una stellina su Twitter o un mi piace su Facebook mi uscirà il sorriso sulla faccia. Beh, anche no, ma mi sembra abbastanza ovvio: gli articoli, cari miei, li dovete aprire e leggere, sennò il mio sforzo non serve ad un emerito cazzo. La cosa, per l’appunto, mi irrita su due livelli: numero uno, con la visualizzazione ci guadagno, ma soprattutto numero due, come si fa a mettere mi piace ad un contenuto che non si è manco letto, dico io, magari è pieno di errori o di cazzate che non si condividono!
Questo sfogo nasce in quanto pochi minuti fa ho pubblicato su Twitter un articolo riguardo ad un concerto (non legato a Ziomuro) inserendo nel titolo, com’è la norma, soltanto il mese, in modo tale che l’utente sarebbe stato invitato a cliccarci sopra, è una pratica che applicano tutti e non c’è nulla di male: ad un certo punto, una ragazza ci scrive chiedendoci quale sarebbe stato il giorno del live, che era ovviamente indicato nel testo dell’articolo. Ecco, io in questi momenti provo tanta rabbia: stiamo parlando, purtroppo, delle stesse persone “medie” che nonostante le mie decine di (faticose) recensioni cercano su Google “perché Gianni Morandi mangia la merda”, o ancora “il cazzo di Justin Bieber” e “l’apnea di Mercedesz Henger”. Stiamo anche parlando delle stesse persone che mettono like e seguono su Instagram e Twitter quei personaggi di dubbia cultura che vivono dei livetwitting dei programmi di Maria de Filippi o ancora degli haul e delle challenge su Youtube. Per non parlare poi dei lettori assidui di blog che campano di click baiting e marciano sulle tragedie con decine di articoli ad hoc.
Personalmente non vi chiedo molto, chiunque voi siate, mi basterebbe ottenere un minimo (un minimo eh) di soddisfazione in più: per quanto io non ci guadagni nulla, vi prego, leggetelo questo post, e mettete una stellina o un mi piace (il retwitt o la condivisione manco ve li chiedo, sono troppo complicati) soltanto se ne avete apprezzato davvero il contenuto. Tanto lo so già che almeno una decina di voi di questa mia umile richiesta se ne batteranno bellamente i coglioni.
Una breve storia triste fatta di stelline, mi piace, visualizzazioni mancate e conti da pagare
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