Prese singolarmente, le canzoni presenti nel disco d’esordio di Pietro Iossa, intitolato Ataxoflia, non sono affatto male: l’idea dell’artista ex membro dei Komminuet era in sostanza quello di rappresentare i diversi lati del suo essere musicale, soltanto che però alla fine ha strafatto un pochettino, riuscendo comunque a regalare più di qualche spunto interessante sul quale discutere.
Si percepisce chiaramente (nel pezzo Desideri, soprattutto) che Pietro ha tanta voglia di fare musica e di sfondare, dopo la mezza delusione di X Factor (peccato perché Domenica non era male) tanto è vero che per realizzare il suo sogno si è circondato di un team molto “sul pezzo”, capace di confezionargli delle produzioni di ottima fattura che rappresentano forse la parte migliore del progetto.
Il problema principale però è che all’interno del disco c’è tutto e il contrario di tutto, come se l’artista volesse a tutti i costi suonare internazionale mescolando generi anche molto diversi: il disco parte molto bene con la convincente title track, poi però si perde subito con il finto reggae di Le emozioni e successivamente con l’ancor più costruito funky-per-forza di I Can’t Give my dreams, con un giro di chitarrina che sembra essere stato copiato in loop dall’archivio di Garageband. Se già questo mix di generi non bastasse, a peggiorare le cose arrivano Nineteen (richiama tantissimo un’altra canzone americana che però mi sfugge), When this time (sulla scia di More than words) e gli ultimi conclusivi occhiolini al pop internazionale in This is the time e You Dit it.
L’album riprende nuova vita nel finale, con la piacevole Amore in disuso, un brano che chiarisce abbastanza bene quali sono le vere potenzialità di Pietro Iossa: tolti i dubbi tentativi di fare il cantante pop da classifica, l’artista dimostra di essere molto più convincente e originale in italiano e nel genere con il quale ha fatto il suo debutto ad X Factor. Il cammino verso il successo vero, a mio avviso, dovrebbe essere lastricata proprio di pezzi di questo tipo, anche perché quando si cerca di piacere a tutti, come sempre, c’è il rischio di non piacere a nessuno, alla fin fine.
Ataxofilia, per quelli di voi che se lo stessero chiedendo, significa sostanzialmente “amore per il caos”, un po’ quello che ritroviamo in questo disco disordinato e disomogeneo, ma non per questo brutto, non mi sento di dirlo. Per il momento, Pietro potrebbe benissimo essere un buon opening act per un qualunque cantante straniero, ma non certo un performer capace di riempirti un Alcatraz a caso tutto da solo. La strada da percorrere è ancora molto lunga, ma non posso dire che sia stata intrapresa con il piede sbagliato.