Tanto tempo fa esisteva in Italia un genere chiamato rap, quello di Inoki, di Joe Cassano, dei Messaggeri della Dopa e di Franke Hi-NRG: erano tempi in cui le rime nei pezzi c’erano eccome e si poteva ridere per una geniale citazione/frecciatina così come piangere per la disperazione e l’angoscia urbana che molti di questi brani “old skool” trasmettevano. Poi, piano piano, le canzoni hanno iniziato ad edulcorarsi, anche e soprattutto per stare dietro al mercato, e sono arrivati così i Gemelli Diversi, gli Articolo 31 e ancora più di recente tutti i Fedez vari ed eventuali del caso. Personalmente pensavo che fra queste fighette del rap ci fosse anche Moreno, uscito dal talent più ignobile della storia, ma in realtà una volta ascoltato per intero il suo terzo disco Slogan mi sono dovuto ricredere.
Mettiamo un secondo i puntini sulle i: non è che ci troviamo davanti al Ready to die italiano, però bisogna ammettere che dietro a questo album si percepisce un grosso lavoro, come se Moreno avesse sentito il bisogno di farci una bella figura con il suo disco, in barba agli haterz (e qui alzo la manina) che lo consideravano un mero prodotto commerciale per bimbeminkia dal “sei bellissimo” facile. Uno dei principali motivi per cui il progetto si lascia ascoltare con gran piacere porta un nome e un cognome, Massimiliano Dagani, alias Big Fish, uno dei pochi produttori rimasti in Italia che non hanno iniziato a copiare spudoratamente i Major Lazer per battere cassa. La maturità di Slogan (del quale Moreno è perfettamente consapevole) è dunque risultato di un mix fra le (buone) capacità di freestyler e di scrittura dell’interprete genovese e il sapore gangsta ma radiofonicamente accattivante delle produzioni di Fish, sempre con un occhio di riguardo verso l’estero.
Con le dovute eccezioni (una su tutte Un giorno di festa, uscita unicamente per tentare la strada “tormentone estivo”) diversi dei 12 brani presenti in Slogan hanno qualcosa da dire o, se non altro, una sfumatura che le rende facilmente riconoscibili, come il suono di una pallina che rimbalza durante una partita di tennis tavolo su Ping Pong, giusto per fare un esempio. La chiave di lettura del disco è dunque legata alla necessità di Moreno di trovare un suo spazio, unico e originale, all’interno di un panorama competitivo dove la gente, per stare galla, è costretta a partecipare a reality (Intro) o si deve inventare chissà quali proclami (se ne parla in Slogan).
Moreno vorrebbe essere in realtà diverso dalla media e ce lo chiarisce in Antirap o ce lo fa intuire nei pezzi più immediati del disco, come Lontanissimo o 5o sfumature di canzoni, che nonostante non siano nulla di sconvolgente entrano in testa con un’estrema facilità. Molto curiosa, inoltre, la presenza di Deborah Iurato in Lasciami andare (l’ultima delle canzoni dove ci saremmo aspettati di trovare l’ex vincitrice di Amici), un pezzo che, se ci pensate, segue quasi incosapevolmente l’attuale trend musicale della “Cantante Italiana” descritto da Marracash e Gue Pequeno nel loro Santeria.
Slogan è quindi una chiara presa di posizione da parte di Moreno: l’artista oggi è anche e soprattutto un prodotto che, come vuole qualunque buona strategia di marketing, deve essere pubblicizzato con tutti gli strumenti del caso, dalla frase ad effetto ad un’adeguata campagna pubblicitaria, elementi che non snaturano le sue qualità ma anzi le esaltano, come è giusto che sia. In un mondo dove la musica non si vende più, non c’è nulla di male a tirare fuori anche qualche pezzo “facile” per farsi notare: il fatto che l’umile Moreno si definisca un “cantante di musica rap” ne è un’interessante conferma.
1. Intro
2. Slogan
3. Un giorno di festa
4. Lontanissimo
5. Lasciami andare feat. Deborah Iurato
6. Alba di domenica
7. Ping Pong
8. 50 Sfumature di canzoni
9. Magici
10. Attimi preziosi
11. Antirap
12. Nevica