Non c’erano bastati Marco Carta, Valerio Scanu e Povia (e Filiberto sul podio), ora dovevano vincerlo pure Il Volo, il Festival di Sanremo: i tre ex pupilli della Clerici tutti lacca, smoking e occhi languidi hanno stracciato la concorrenza ben più raffinata di Malika Ayane (premio della Critica, mica bruscolini) e più radiofonica di Nek (Fatti avanti amore), in una finale che forse era già scritta fin dalla standing ovation che seguì la loro prima esibizione.
Ma chi è, anzi chi sono Il Volo? Il trio è stato creato in modo non dissimile dai One Direction da una serie di geniacci del marketing Rai (Tony Renis, Roberto Cenci) che devono aver riconosciuto nel trio di “Ti lascio una canzone” un enorme potenziale commerciale, costituito essenzialmente da quell'”essere italiano” tanto celebrata negli ignorantissimi film americani e dalla quale noi abitanti della Penisola cerchiamo da sempre di affrancarci. E invece, col cazzo, al popolino che gli frega.
Questi morettini piacioni (uno su tutti, il gasatissimo Ginoble) con le voci da tenori sono stati portati in giro per il mondo, particolarmente nelle Americhe, a fare sfracelli in radio, classifiche e teatri vari a suon dei peggiori stereotipi sul Belpaese, tutto latin lover, pizza, mandolino, “parlo a gesti” e Oh Sole mio. Il Volo è un po’ quel gruppo che quando fa le interviste in terra straniera non dice altro che “Yeah, I love this country, I love the people, I love my fans, but I miss Italian pasta” e quando è in Italia non fa altro che vantarsi delle conquiste in terra estera.
Il brano portato a Sanremo, già dal titolo “Grande amore”, è un concentrato di piacioneria vecchia dentro, che paradossalmente potrebbe spaccare in paesi come Stati Uniti o Argentina proprio perché rappresenta quel tipo di musica che allo straniero sempliciotto piace tanto, con quel groove alla Volare oh oh spruzzato dell’emozione di Caruso. Insomma, la colonna sonora perfetta per un caffè americano delle 5 per le strade di Little Italy.
SCUSI BABBADABUPPI?
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Little Italy ha vinto Sanremo
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