C’è stato un momento in cui Andrea Nardinocchi, giovane canta-produttore bolognese, mi era sembrato il salvatore della musica italiana: il suo disco d’esordio, l’eccelso Il momento perfetto, mi aveva letteralmente fulminato e a tutt’oggi credo che nessuno in Italia si sia ancora messo a sperimentare ai suoi livelli. Ad un paio d’anni di distanza da questo disco che, neanche a dirlo, ci siamo cagati in pochi, esce il suo secondo (e più difficile?) album intitolato Supereroe, un progetto che ci presenta un Nardinocchi molto, molto cambiato, molto più funky e meno innovatore, ma non per questo meno valido.
Certo, non posso non ammettere che il primo ascolto di Supereroe mi ha colpito meno del suo predecessore, ma allo stesso tempo non nego che con il secondo e il terzo (facciamo pure il quarto vah) ascolto le emozioni sono arrivate, eccome: tutto è cambiato con una lunga passeggiata che mi sono fatto dai Navigli verso casa, in zona Loreto, nel corso della quale mi sono concentrato solo su me stesso e quello che le cuffiette stavano trasmettendo in quel momento. Un’immersione anima e corpo in una musica a tratti un po’ sibillina, sfuggente, ma energica, vitale, e sempre profondamente sentita, perché Andrea (se l’avete visto dal vivo, vi sarete accorti della “bestia” che si porta dentro) la musica la vive a 360 gradi, come un’onda di energia che gli attraversa il corpo e lo fa tremare.
In Supereroe (la cui traccia migliore, questa sì stupenda fin dal primo ascolto, è forse proprio la title track) ci trascina in un luogo completamente diverso rispetto a quello de Il mondo perfetto, molto più old school e sporcato qua e là di tanto funky (Hu! Eh!) di atmosfere anni ’80 (il primo singolo Come M.J., oppure nella stupenda L’Unica Semplice, che strizza l’occhio ai Daft Punk di Tron); il miglior pregio di Andrea è in effetti proprio quello di essere riuscito con i suoi esperimenti a svecchiare il panorama musicale italiano, condannato per esempio a citare ridicoli tappeti di fragole (epico in questo senso il dissing in Coretti a Palla, “Mi dici: “Cambia ché ci sono sempre i Modà”) per guadagnarsi tour negli stadi e abbonamenti a vita alla top 10.
A spiccare nel disco sono inoltre pezzi come la stupenda ballad Eh no (e tu mi hai buttato il cuore nel mare, quando mi sono accorto che non so nuotare ma poi mi sono accorto che è un sasso che non affonda) dai vaghi echi drumnbass in pura salsa Nardinocchi o ancora in Come sei, costruita su voce e piano, tanto bella da sembrare una ghost track di Bon Iver. Il bello è che anche in questi pezzi più romantici l’artista non perde la sua freschezza e originalità, che spesso si traduce in testi solo in apparenza infantili (un po’ come se dentro di lui ci fosse, neanche del tutto sopito, un fanciullino Pascoliano) e nell’utilizzo di parole semplici e piane. Il risultato finale è una delicatezza rara, che gran parte dei nostri artisti da classifica non sono riusciti a raggiungere neanche dopo anni di carriera.
Cosa manca ad Andrea Nardinocchi, per raggiungere la perfezione, sempre che essa esista? Forse, un team di produttori più attento alle esigenze di mercato potrebbe rendere i suoi prossimi lavori ancora più accattivanti di quanto già non siano, senza possibilmente farlo scadere in quell’elettronica un po’ stantia che sta facendo la fortuna di un collega ben più commerciale come Marco Mengoni. Se aggiungiamo alle ottime produzioni e ai testi di Andrea Nardinocchi anche un pizzico di orecchiabilità in più potremmo vedergli definitivamente spiccare il volo, proprio come un supereroe.