Ieri pomeriggio dovevo pulire casa. Mi ero ripromesso che, appena tornato da lavoro, avrei scritto al massimo quel pezzo che doveva per forza uscire prima della concorrenza (ero comunque in ritardo rispetto almeno ad una testata) e poi mi sarei fatto un bel pisolino, seguito poi da almeno un paio di ore di Swiffer, Cilllit Bang, spugne, piatti e lavatrici. Mi sono messo il mio pigiamino e mi sono coricato, in realtà credo che il tutto sia durato neanche 40 minuti.
Quando mi sono svegliato era morto Prince, la notizia era rimbalzata su Twitter (come sempre) a partire dall’account ufficiale di quei geniacci di TMZ, che sono alcuni avevano avuto la dignità di citare come fonte ufficiale. Il corpo dell’artista di When Doves Cry e Kiss era ancora caldo eppure, dopo neanche mezzora, Google era già pieno di articoli a lui dedicati. Impossibile, ovviamente, sovrastare chiunque altro sulla news della morte, 15 minuti in questo caso sono un’eternità ma magari, ho pensato, si sarebbe potuto scrivere di altro. Dall’altra parte del mondo, a Minneapolis, una famiglia e alcune persone fidate piangevano la scomparsa di un amico, ancor prima che di un artista.
Mi sono sentito con la mia caporedattrice, per capire che tipo di pezzi si potevano scrivere e come affrontare l’argomento nella maniera più delicata possibile, beninteso che -é morto Prince- sarebbe stato troppo forte. Nel frattempo, però, nelle chiavi di ricerca bisognava inserire -cause morte Prince- e via discorrendo. Poco importava se ancora non si sapeva nulla a riguardo, l’importante era uscire, il più rapidamente possibile.
Succede sempre così quando un cantante muore, noi blogger o giornalisti ci facciamo la guerra per il titolo più accattivante, per l’argomento di punta, per il gossip o retroscena che, già sappiamo, attirerà interesse e quindi, si spera, soldi: il fatto che la musica di Prince non sia sulle piattaforme di streaming ci portava in maniera quasi automatica a parlare di come poter ascoltare la sua musica o come condividerla su Facebook, sapevano perfettamente che il cosiddetto “popolo bue” da lì a poco non avrebbe cercato nient’altro.
Ogni tanto, in effetti, ci vorrebbe una tonnellata di delicatezza in più, e questo è ovviamente anche un mea culpa personale: probabilmente, ci dovremmo limitare a informare (seguendo il principio che “non si può non comunicare”) della dipartita di qualcuno di importante dedicandogli al massimo un breve editoriale celebrativo senza però cagare troppo fuori dal vasetto, per quanto possibile. Fino a quando ci ostineremo a scrivere articoli del tipo “le 10 canzoni più belle di Prince” o “la morte di Topo Gigio: la reazione di Topo Gigio” metteremo sempre davanti a tutto il principio del pecunia non olet piuttosto che quello, molto più base, del rispetto della dignità umana.