Esiste un cliché, nel mondo della musica mainstream (da me profondamente disprezzato) che obbliga tutte le donne del pop più commerciale a dare inizio ad una nuova era discografica con un pezzo scanzonato, allegro, discotecaro: in questo modo è più facile entrare subito in testa agli ascoltatori, farli ballare nei locali, creare hype su Twitter, dare la giusta energia alle persone quando la mattina vanno al lavoro ascoltando la radio, eccetera eccetera. Fino al suo settimo album la provocante Rihanna non aveva mai fatto eccezione a riguardo, attenendosi a questo stereotipo (Pon da Replay, Sos, Umbrella, Hard, We found love, Diamonds) in maniera del tutto prevedibile, a tal punto che l’infinita attesa per il suo Anti (uscito il 28 gennaio “a sorpresa”) ci aveva fatto (ben) sperare. E invece.
E invece Rihanna ha tirato fuori l’album che nessuno mai si sarebbe aspettato, stravolgendo le nostre certezze di appassionati di pop con un pezzo come Work (in collaborazione con il gigantesco Drake) che, detta proprio fuori dai denti, è stata una grossa delusione. Saranno le rime strascicate, la ripetitività del ritornello fino quasi all’ossessione, la generale sensazione che il pezzo sia una b-track slavata del suo ultimo Unapologetic, che pure non aveva brillato per raffinatezza e qualità. Work, in ogni caso, non è certo l’unico momento inatteso del disco, che si discosta in maniera decisa da tutto quello che l’artista originaria delle Barbados ci aveva fatto sentire con i suoi lavori precedenti.
Anti ha stravolto le regole del gioco, fallendo però nel suo obiettivo (molto nobile, bisogna dirlo) di porsi come nuovo punto di riferimento dell’alternative/soul mondiale, un po’ come se l’artista avesse voluto reinventarsi in una versione tutta al femminile di Miguel o Frank Ocean. Purtroppo, siamo davvero ad anni luce di distanza dai colleghi citati in precedenza, in quanto alle melodie accattivanti e ai testi dalle mille sfaccettature si sostituiscono pezzi debolucci un po’ su tutti i fronti: in realtà, degli spunti interessanti ci sono pure (i toni cupi di Desperado, le influenze hip hop del bel pezzo iniziale Consideration) che però si perdono un po’ per strada all’interno di una tracklist composta da brani davvero troppo riempitivi, lunghi (neanche la citazione dei Tame Impala serve a tirare su le sorti di Same Ol’ Mistakes) oppure brevi e un po’ stupidotti, come nel caso di James Joint, dedicato tanto per cambiare alla marijuana, che Rihanna ha da sempre dimostrato di apprezzare.
Questo disco, tuttavia, trovo non si possa definire come un prodotto di qualità scadente di per sé (gli album brutti, quelli veri, sono altri, vero Britney?) ma semplicemente un esperimento di dubbio gusto, un momento di passaggio nella carriera di Rihanna del quale, tuttavia, avremmo anche fatto a meno: per ascoltare Anti mi ci sono voluti ben 3 tentativi, nessuno dei quali mi ha però portato a provare vivo interesse per alcun brano in particolare, e dire che sono sempre riuscito a trovare del buono nella sua musica. Cara Rihanna, direi che ci riaggiorniamo direttamente con il tuo R9.
Tracklist
1. “Consideration” featuring SZA
2. “James Joint”
3. “Kiss It Better”
4. “Work” featuring Drake
5. “Desperado”
6. “Woo”
7. “Needed Me”
8. “Yeah, I Said It”
9. “Same Ol’ Mistakes”
10. “Never Ending”
11. “Love on the Brain”
12. “Higher”
13. “Close to You”
Bonus Tracks
14. “Good Night Gotham”
15. “Pose”
16. “Sex With Me”