Personalmente, ho la fortuna di non far parte di nessuna categoria storicamente vittima di discriminazione. In questo senso, posso definirmi un privilegiato. Nella mia vita, al di là della laurea che abbiamo capito ormai non servire a nulla, ho avuto a che fare, per lavoro o per diletto, con un’infinità di categorie umane. E questo anche all’estero, dove sento di avere imparato tantissimo. Proprio per questo, credo di poter parlare con una certa sicumera di certi temi oggi molto caldi, come il razzismo e la sua effettiva esistenza in determinati contesti.
La motivazione è abbastanza ovvia, considerata la foto copertina che ho scelto: vorrei trattare in maniera più o meno approfondita della questione Roberta Bonanno a Tale e Quale Show 2019 e più in generale della blackface più volte presentata in trasmissione, fin dalla sua prima edizione.
Meanwhile in Italy, it would be “revolutionary,” “unheard of” “progressive” and “new” to not paint yourself black and imitate black people (poorly) in the media… https://t.co/h2xgUZw5T6
— Tia Taylor (@MissTiaTaylor_) October 27, 2019
Ma di cosa diamine stai parlando?
Ottima domanda. Penso che sia normale che tu, lettore, sia completamente all’oscuro di quello a cui mi sto riferendo. Per cui facciamo un passetto indietro.
Tale e Quale Show è una trasmissione in onda su Rai Uno dal 2012. Il programma vede un gruppo di vip cimentarsi nell’imitazione di alcuni celebri cantanti, vivi o morti. Il format si intitola così perché, grazie ad un team di esperti truccatori, i concorrenti devono cercare di assomigliare il più possibile alle fattezze del collega in questione, anche fisicamente. Cosa accade, dunque, quando un vip deve imitare una persona di colore (o si dice nera? O diversamente bianca? Qual è il termine che mi terrà lontano dalle polemiche?)? Accade che i truccatori applicano sul viso e sugli arti scoperti del diretto interessato una colorazione marrone scuro che, nella maggior parte dei casi, è abbastanza agghiacciante.
Questa, signore e signori, si chiama blackface. In tempi ormai “sospetti”, soprattutto negli Stati Uniti, la blackface era un modo per denigrare le persone afroamericane. Gli attori di spettacoli o commedie cinematografiche indossavano questo tipo di trucco scuro (meglio se accompagnato da un rossetto che ingigantiva le labbra) per rappreesentare il “classico” personaggio poco acculturato, tontolone e sottomesso. Si trattava, in buona sostanza, di un retaggio razzista del periodo dello schiavismo.
In un periodo in cui domina il politically correct tossico, dove non si possono più fare battute di nessun tipo, dove ognuno può vedere razzismo, soprusi e molestie ovunque e in base al proprio ego e libero arbitrio (quanto vi faranno incazzare queste frasi? Quanto?) la polemica della blackface era più che succosa. Nonostante fossero anni (7, per la precisione) che la trasmissione proponeva la blackface in quasi ogni puntata, le “nuove lobby”, a quanto pare, si sono svegliate soltanto adesso. Lobby che, evidentemente, non sono mai veramente riuscite ad attecchire, considerato che la shitstorm sulla tramissione è rimasta rinchiusa, se proprio vogliamo, all’interno di quella che alcuni definiscono la bolla radical chic di Twitter.
Con questo cosa voglio dire? È tutto molto semplice: la blackface ha certamente delle basi razziali. Ma pensare di poterla applicare ad un contesto italiano, dove evidentemente c’è un tipo di tradizione diverso rispetto a quella schiavista, è semplicemente folle e ridicolo. Una nota femminista, che non nominerò, in una recente Instagram Story si è sentita in dovere di sottolineare a proposito che: “Non è sufficiente che tu non abbia l’intenzione di essere razzista per essere razzista, l’effetto prodotto è comunque quello“. Io trovo tutto questo sia semplicemente assurdo e persino pericoloso, perché è un’affermazione che alla luce di un’interpretazione personale può infamare chi è evidentemente e palesemente innocente.
Pensiamo piuttosto, come in realtà sarebbe più utile, al motivo per cui nel mondo dello spettacolo italiano ci siano così poche persone nere. Il problema, probabilmente, è a monte ma è alla stessa base della società italiana. In Francia, molti dei miei superiori erano (competenti) persone di origine africana. Nel nostro paese, non accadrebbe mai lo stesso. Eppure, a separarci c’è appena una catena montuosa.
La polemica sulla blackface a Tale e Quale, infine, solleva un altro problema che mi sta molto a cuore. Ci stiamo perdendo la leggerezza. Concetti come la goliardia non esistono più, schiacchiati da correnti di pensiero che nemmeno si rendono conto di essere estremiste. L’ironia e la voglia di scherzare, spesso, sono doti che appartengono a persone dotate di un’apertura mentale che neanche vi potreste immaginare. O che forse negate, in quanto scomoda per la vostra indistruttibile tesi.
Molti di quelli che oggi, in questo tremendo mondo post #MeToo, si battono per l’uguaglianza si dimenticano fra le altre cose di vivere in una società democratica dove, fino a prova contraria, esiste il diritto alla libera espressione. Lasciateci divertire, guardare un programma in santa pace e fatevi una risata (anche se quest’ultima espressione è una delle più taboo, oggi come oggi). Che magari domani vi risvegliate sotto ad un cipresso.