Pensavo di aver salvato una bozza della recensione di Wildheart, terzo studio album di Miguel, e invece è sparito tutto, mandando a monte quelle poche righe che avevo buttato giù su un disco che mi è piaciuto, proprio tanto, fin da quando sono partite le prime schitarrate dell’intro di A beautiful exit, un pezzo che chiarisce fin da subito le intenzioni del disco dichiarando che ignorando le convenzioni della società, vivendo come cuori selvaggi senza paura. moriremo giovani. Un inizio mica da ridere per un disco che cresce e assume nuove sfumature ascolto dopo ascolto, un po’ come Il Piccolo principe (che non ho mai letto, ma mi han detto che è così e mi fido).
Wildheart e il suo autore Miguel rientrano a pieno titolo in quella nuova scuola di R&B che non basta a sé stesso, che non vuole rimanere imbrigliato nella solita ritrita citazione alla Motown (un loop , questo, in cui sembrano essere rimaste invischiate artiste come Mary J. Blige e Alicia Keys) ma anzi si mette in discussione e parte verso nuovi lidi, particolarmente il rock e l’acustica, con spruzzate di elettronica: contrariamente a due guru di questo nuovo genere come The Weeknd (cupo, particolare e sperimentatore) e l’eccelso Frank Ocean (molto più garbato e romantico) Miguel mantiene comunque una vena piuttosto gangsta che getta nei suoi testi vagonate di sesso, droga e rock ‘n roll. Soprattutto sesso, in tutte le sue declinazioni.
Miguel è un piacione e ama fare all’amore: peccato solo quando esagera e caga un po’ fuori dal vasetto (The Valley, dedicato alla celebre trash-serie di Mtv recita “voglio scoparti come se ci stessero riprendendo in The Valley”) perché quando si concentra e cerca di fare poesia gli escono dal cappello dei pezzi spettacolari come il singolo di lancio Coffee (che nella versione non censurata si chiama Fucking) nel quale le emozioni dell’amore diventano sfumature da dipingere su una tavoletta e dove le litigate e le ben più divertenti cuscinate si trasformano in una bollente tazza di caffé da sorseggiare al mattino, metafora dell’atto sessuale stesso.
È proprio lo stile di Cofeee, sensuale e avvolgente, a rendere così speciale il disco di Miguel, che in diversi momenti si lascia andare a falsetti strappamutande (“avvolgimi nella tua carne, ne sono schiavo” canta in FLESH), splendide dediche d’amore (come nel secondo singolo Simple Things) e pezzi che rasentano il capolavoro come la straziante leaves (si è schiantato su di me come hiroshima, ha fatto sparire il sole, come puoi dire che è finita, se non l’ho mai vista arrivare?) caratterizzata da un crescendo finale da pelle d’oca.
Il cuore selvaggo di Miguel si può anche apprezzare nei pezzi più spiccatamente R&B vecchio stile come waves, nel quale l’acqua dell’oceano è rappresentazione degli umori femminili (!) e in What’s normal anyway, che sembra una canzone presa direttamente dal meglio del repertorio di un altro finto bad boy come Drake.
Un disco davvero molto, molto bello questo Wildheart, che pur non convincendo al cento per cento (il fastidio che mi provoca quel synth di merda in sottofondo su Destinado a Morir è pari solo ad una colica) dimostra che Miguel è senza dubbio alcuno uno dei songwriter del “nu r&B” più eclettici e talentuosi in circolazione. Il suo è un cuore selvaggio, indomabile, impavido, ma allo stesso tempo dolce, carino e coccoloso; in breve, il mix perfetto per la colonna sonora di una serata che parte con una cena romantica e termina con una notte di capriole fra le lenzuola. Provate l’esperienza, non ve pentirete.