C’era una volta un caschetto biondo, una voce da bimbo e un candy pop che poteva piacere anche alle mamme che accompagnavano le figlie ai concerti. Poi è arrivata la fama vera, lo champagne, i bordelli sudamericani, i tatuaggi e i muscoli: questo è il nuovo Justin Bieber, quello che fino a non molto tempo fa era ancora nascosto dietro ad un’immagine da bravo ragazzo, rivelatosi poi molto diverso da quello che avremmo potuto pensare. Purpose, suo terzo disco (se non consideriamo il valido EP Journals) è la rappresentazione di questo suo nuovo SuperIo e chiarisce le sue intenzioni fin dalla copertina, quasi in stile gangsta: il ragazzo è cresciuto, fisicamente ma anche e soprattutto musicalmente, e il nuovo corso degli eventi l’ha spinto in una direzione EDM da un lato e urban dall’altro che gli sta addosso proprio bene.
19 canzoni nella versione Deluxe (il disco è lungo, e ricco, in effetti) per rimodellare il proprio ruolo all’interno del pop mondiale, proprio mentre i colleghi “teen” d’oltremanica One Direction se ne escono con un disco (l’ultimo?) che si adagia sugli allori (qui la mia recensione di Made in the A.M.) e non si prende il benché minimo rischio e basa tutto su soliti I love you e when i look into your eyes melensi che ad una certa suonano davvero ridicoli in bocca a dei ragazzi che l’età dell’adolescenza l’hanno passata da un bel po’. Al contrario dei 1D (il paragone è praticamente d’obbligo) Justin tira fuori dal suo cappello da prestigiatore del pop dei signori singoli e delle signore canzoni di contorno: se What do you mean?, brano d’apertura del progetto, è di fatto la canzone più banale e debole, non stesso possiamo dire per canzoni come Sorry o ancora Children, che salgono sul carrozzone dell’EDM di stampo Skrillex/Diplo tanto di moda in questo periodo, con godibilissimi inserti di dancehall e un po’ di dub che non fa mai male.
Il punto forte del disco è indubbiamente la sua estrema varietà, che dimostra una certa versatilità musicale di Bieber, molto cresciuto artisticamente, convincente sia quando si da all’R&B quasi anni ’90 (bellissima a questo riguardo No Pressure con Big Sean) sia soprattutto quando sperimenta qualcosa di più particolare, provando la strada dell’electro-alternative in This Feeling (con la stra-promettente Halsey) o ancora quella del funky-che-non-ti-aspetti in Company. A spiccare su tutto il resto sono però il capolavoro dance dell’anno (forse la canzone più bella del 2015?) Where Are Ü Now con i Jack Ü e la stupenda Love Yourself, che però è forse pure troppo palesemente iper-prodotta da Ed Sheeran.
Tutto il resto? Non è che sia noia, come diceva Califano, però è piuttosto trascurabile, soprattutto le ballad (vedasi la title-track); in ogni caso, questo Purpose rappresenta una prova più che buona di un artista che, da questo momento in poi, sarà sempre più difficile bistrattare per partito preso. Così come ci racconta nella notevole I’ll show you, uno dei pezzi più “sentiti” di tutto l’album, Bieber non è fatto di metallo, ed è un essere umano come tutti noi, e per fortuna direi: questo suo lato umano, più graffiante, sofferto e meno stereotipato stavolta è venuto fuori appieno, regalandoci uno dei dischi pop più interessanti degli ultimi 12 mesi.