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14 euro. Tanto ha speso il sottoscritto per il sacchetto di caramelle acquistato subito prima della visione di A Star is Born, il nuovo film di e con Bradley Cooper che vede la partecipazione straordinaria, in veste di protagonista, di sua maestà Lady Gaga.
Prima di entrare in sala, al netto del gigantesco hype mediatico scatenato dal film (la 75ª edizione del Festival del Cinema di Venezia, in questo senso, ne ha rappresentato il culmine) ho approfondito la questione remake del film con chi di cinema ne sa molto più di me. Per quelli di voi che ancora non lo sapessero, È nata una stella è di fatto il rifacimento di un noto classico del 1937 riproposto poi nel 1976 con Barbra Streisand come protagonista.
In pratica, a quanto mi dicono, il lavoro di Bradley Cooper è stato di fatto interessante. Il regista e attore statunitense è riuscito a regalare nuova vita al film, aggiornandolo ai tempi moderni e cucendolo letteralmente addosso a Lady Gaga.
Le premesse insomma sembravano ottime, il risultato finale è, per quanto mi riguarda, decisamente da ridimensionare.
Lady Gaga, va detto, è un’artista straordinaria e, su questo non ci piove, molto molto valida. Non sono in molte nel mondo del pop al femminile ad essersi rimesse in gioco al 100%, buttando alle ortiche le regole del mainstream e deludendo, va detto, una generosa fetta del loro pubblico. Non è un caso, in effetti, che se nel film c’è qualcosa di buono è proprio la colonna sonora e l’interpretazione dei brani (su tutte il singolo di lancio Shallow, una scena che mi ha lasciato il brividino).
Per il resto, A Star is Born è di fatto un filmetto con una bella fotografia. Tutto qui. E a chi grida al capolavoro (o alla possibile nomination di Mother Monster agli Oscar) io personalmente consiglio un TSO. Il messaggio, ovviamente, è diretto anche a quelli che sono riusciti (capisciammè) a far vincere a Gaga il Golden Globe per quel pasticcio di AHS Hotel.
Con Lady Gaga, in ogni caso, funziona sempre così. I little monsters di vecchia data sono abituati a determinati cliché che credo siano difficili da sradicare. Mi immagino, ad esempio, che la gente si sia strappata i capelli (o le parrucche?) con l’interpretazione di La vie en rose nel drag bar, un’ambientazione superflua e fuori luogo considerato il mood generale del film, ma evidentemente funzionale ad attirare in sala il pubblico di fedelissimi dell’artista di ENIGMA. D’altra parte, ed è curioso, il film si burla anche della loro superficialità, quando la talentuosa Ally è costretta a svestire i panni della cantautrice da dive bar e indossare quelli ben più scomodi di popstar glitterata.
A Star is Born, in ogni caso, è un film dopo tutto piacevole (ma forse eccessivamente lungo?) che però pecca di qualche stereotipo di genere di troppo e, di conseguenza, scade spesso nel prevedibile (il piantino finale, in questo senso, è citofonatissimo). Personalmente dunque, non credo di aver sprecato i miei soldi, anche se l’investimento più piacevole è stato senza ombra di dubbio quello per le caramelle gommose di cui sopra. Considerato il tasso di miele generale di A Star is Born, forse sarebbe meglio che facessi un salto dal dentista al più presto.