Un paio di annetti fa mi si è rotto il computer. 5 anni di onorata, onoratissima carriera, di viaggi, di chattate, di primi articoli e di gallery su Facebook scomparsi per sempre senza peraltro nessun motivo apparente: il mio vecchio MacBook non era caduto, non ci avevo rovesciato nulla sopra, non aveva alcun virus (come tutti i prodotti della casa di Cupertino, d’altro canto), non c’era nulla che non andasse, tranne forse quel tasto 0 che un giorno, di punto in bianco, smise di funzionare. A questo proposito non auguro a nessuno di dover scrivere una tesi di laurea specialistica con uno zero che non funziona.
Al suo interno, fortunatamente, non avevo cose particolarmente fondamentali per la mia esistenza, come foto di lauree o concerti, magari ho perso qualche conversazione di Msn (si, nel 2008 quando lo comprai si usava di brutto) a cui tenevo, ma d’altra parte era anche ora di voltare pagina, in un certo senso. Ecco magari non è che l’obsolescenza programmata dei prodotti Apple, che a un certo punto puntualmente si rompono, mi faccia proprio tanto piacere però dopo tutto l’avevo utilizzato talmente allo sfinimento che pure lui, poverino, si era stancato. C’era però una cosa che avevo sottovalutato, del mio adorato ex computer: il lettore cd.
Nel corso degli anni, con qualche risparmio vario ed eventuale, sono sempre riuscito a farmi un saltino in centro a Milano e comprarmi, giusto una volta ogni 4 o 5 mesi, un bel cd che appena arrivato a casa (ma facciamo pure prima, per l’impazienza, in metropolitana) mi sarei messo a scartare, aprire, annusare. Sì, avete letto bene, annusare. L’apertura dei cd era sempre stata un piccolo grande feticcio per il sottoscritto. Poi, purtroppo, qualcosa è cambiato.
Con la rottura del mio computer è arrivata la consapevolezza che l’era dei dischi e questo rito tanto amato era ormai destinata a cadere nell’oblio più totale: non solo e non tanto per la pirateria online, né tantomeno per lo streaming, sempre più diffuso, quanto piuttosto per la mancanza di supporti sui quali ascoltarli questi benedetti cd.
A casa non ho più uno stereo (se non quello tenuto giusto come elemento di arredo (un pezzo di plastica che mi ricorda quando ero giovane e più o meno spensierato), tutte le case automobilistiche hanno iniziato ad eliminare l’autoradio e anche chi produce computer ha ben pensato di eliminare i lettori cd dai propri dispositivi: tanto a cosa servono, faranno la stessa fine degli obsoleti VHS, dei quali però molti di noi (ammettiamolo!) provano ancora tanta nostalgia.
Ieri per esempio ho comprato un disco, perché così facendo avrei partecipato a questo incontro con Álvaro Soler, ma attualmente non ho alcun mezzo per poterne usufruire, e di per sé l’acquisto è stato effettivamente inutile perché l’album lo lo conoscevo già nella sua versione telematica, scomposto in migliaia di bit su Spotify. L’esperienza dell’ascolto, di per sé, è alla fine la stessa, quello che manca però è l’emozione legata a quello che il disco di per sé ha sempre rappresentato. La tecnologia, è vero, ha migliorato molti aspetti della nostra esistenza ma ci ha tolto la magia delle piccole cose: a me per esempio l’emozione di scoprire se l’artista alla fine ha messo i testi delle canzoni è una di quelle robe che mi manca un casino e che non mi ridarrà nessuno indietro.