La verità è che io di musica non ci capisco un cazzo. Altrimenti, invece di fare lo sborone in giro avrei iniziato ad ascoltare i Radiohead molto, molto prima. Sarà che mi sono fatto spudoratamente plagiare dalla nuova moda di fare uscire dischi a caso e soprattutto a sorpresa, ma ho ascoltato il loro ultimo A Moon Shaped Pool con estemo piacere, molto più di quello che uno che si era fermato a Creep, Idioteque e alla pagina Facebook Immaginare di raggiungere l’ Iperuranio ascoltando Karma Police si sarebbe mai potuto aspettare.
Anche se ad un primo ascolto (facciamo anche al quarto) il buzz single Burn the witch non è che mi avesse fatto impazzire, piano piano mi sono dovuto ricredere, ma con soddisfazione, devo dire: l’album, composto da 11 affrontabilissime tracce (anche per i più emotivi) scorre via che è una goduria, è suonato e scritto molto bene e non annoia, cosa più unica che rara in un mondo dove anche i progetti più strombazzati ti fanno arrivare alla 12esima traccia con l’eye roll assicurato. La consapevolezza che ci trovavamo a qualcosa di davvero interessante ce l’avevo (e ce l’avevamo tutti) avuta con il secondo singolo Daydreaming, una ballata abbastanza straziante, un indie spruzzato di orchestra che racconta di un artista che si nasonde dalle torture del mondo e allo stesso tempo accetta la sua sconfitta. Una bella botta di vita, insomma.
Tutto il disco, in effetti, è imperniato dalla costante ricerca di un al di là “lunare“, appunto, che si ritrova nei riferimenti di diverse delle sue canzoni: in “Decks Dark” si parla di materia extraterreste per rappresentare l’oscurità dell’umanità (There’s a spacecraft blocking out the sky, And there’s nowhere to hide), c’è l’alienazione delicata nel freddo e nel panico espresso in Glass Eyes, c’è la protesta sociale e ambientalista di The numbers, dal sapore folk, dove Tom Yorke e compagni si scontrano con la freddezza e l’inutilità dei numeri a favore di un pianeta il cui futuro stesso è scritto dentro di noi. La lotta contro il presente la ritroviamo anche nella quasi-spagnoleggiante chitarra che accompagna Present Tense, nella quale si precisa che non ci resta nient’altro che danzare, per affrontare le difficoltà.
Tante delle canzoni incluse nel disco sono tutt’altro che “presenti”, a conti fatti: brani come Ful Stop o Identikit (dedicati ad un io incasinato, tutto da ricostruire) erano già stati suonati in concerti risalenti fino al 2012, ma che hanno finalmente trovato una loro collocazione e produzione in studio, dove le imperfezioni del passato sono state rese attuali con l’aggiunta di synth e distorsioni elettroniche. Dimensione massima di questa attesa e labor limae stilistico è la conclusiva True love waits, presentata per la prima volta live nel 1995 (!) e finalmente inserita in un disco che esprime al meglio quella malinconia e disperazione umana che tanto ci piace in questi dischi da finti hipster.
Moderno, posato, triste e riflessivo, A Moon shaped pool è l’album che tutti i fan dei Radiohead si aspettavano, d’altra parte parliamo di una band che ha fatto la storia dell’alternative mondiale proprio in funzione del suo male di vivere di fondo: dicono che sia il loro migliore lavoro dai tempi di Amnesiac, io purtroppo non lo so perché appunto di musica non capisco nulla e ragiono ad orecchio. Per non saper né leggere né scrivere posso soltanto dire che m’è piaciuto e ve lo consiglierei, anche se come me siete cresciuti a pane, Mtv e Britney Spears.
Tracklist
Burn the witch
Daydreaming
Deck Dark
Desert Island Disk
Ful Stop
Glass Eyes
Identikik
The numbers
Present tense
Tinker Tailor Soldier Ricj man poor Man Beggar man thief
True love waits