Sembrava impossibile riuscire a bissare il successo e la qualità di Racine Carrée, disco eccelso uscito nove (9!) anni fa con il quale Stromae si era conquistato, dopo il successo apparentemente fugace di Alors on dance, un pubblico internazionale e affezionatissimo. Ma poi è arrivato Multitude, e le mie certezze sono miseramente crollate.
Prima di iniziare a parlare seriamente di questa terza fatica discografica dell’artista belga è necessario fare un passettino indietro e comprendere, prima di tutto, cosa è avvenuto prima della pubblicazione di un disco del genere. La vita, è successa la vita. Paul Van Haver (questo il vero nome di Stromae) si è sposato, è diventato papà ma soprattutto ha avuto grossi problemi di salute. Prima ci sono stati gli effetti devastanti di un farmaco antimalarico, poi l’esaurimento nervoso. E poi più niente, Stromae lascia, Stromae si ritira e non torna più. Il mondo come un puzzle musicale che perde il suo tassello più prezioso e inizia a suonare stonato.
Multitude non poteva quindi che essere un altro gioiello, probabilmente il disco migliore del 2022 appena cominciato, mi permetto. Un album dove Stromae si fa uno, nessuno e centomila e si moltiplica nelle storie di tanti poveri diavoli che provano a tirare a campare, in un mondo che è irrimediabilmente cambiato.
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C’è tutto e il contrario di tutto in Multitude. C’è la denuncia sociale, tema molto caro all’artista (nella piacevole ma non riuscitissima cumbia di Santé, il primo singolo dove si parla delle “persone invisibili” che lavorano al posto nostro), ci sono il femminismo con le sue lotte (“anche se essere femminista fosse diventato di moda, è sempre meglio essere uno stronzo che una puttana” canta in Déclaration) ma anche la prostituzione nella devastante e complessissima Fils de Joie. Ma più di tutto c’è uno sguardo dentro noi stessi, nei lati più marci dell’esistenza, un racconto straziante che procede a ritmo dell’elettronica e di una sperimentazione sonora sporcata di world music che solo Stromae poteva permettersi di tirare fuori dal cappello.
Multitude è il disco della disperazione, del buio che spegne la luce delle tue giornate fino a farti venire voglia di scomparire e di buttarti dal balcone (“Enfer” è probabilmente il capolavoro dell’album). È un disco che ti scava dentro e ti rivolta come un calzino, è un album che ti fa capire (per esempio) come non ti sentirai mai completo né come elemento di una relazione stabile né come viveur alla ricerca del sesso occasionale (è la storia di Nicolas in La solassitude). Ovunque tu ti possa girare, qualunque sia l’espressione che vedrai riflessa allo specchio, ti sentirai sempre inadatto, incompleto, svuotato delle energie di cui dovresti avere bisogno per affrontare un’altra (l’ennesima) giornata di merda (“Bonne Journée” e “Mauvaise Journée”).
Non è un caso, tuttavia, se Multitude si apre con l’incedere incalzante di Invaincu. La canzone è, a modo suo, proprio la carica che ci serve per affrontare tutti i nostri lati oscuri, le nostre sconfitte, gli schiaffi che ci prenderemo in faccia a prescindere dai nostri sforzi. Siamo Davide contro Golia, candele al vento che restano accese. “Fintanto che siamo vivi, restiamo imbattuti, vincitori”. Nel mondo post Covid non è cosa da poco.
Tracklist
1 Invaincu
2 Santé
3 La Solassitude
4 Fils De Joie
5 L’enfer
6 C’est Que Du Bonheur
7 Pas Vraiment
8 Riez
9 Mon Amour
10 Déclaration
11 Mauvaise Journée
12 Bonne Journée