Era l’agosto 2006, me lo ricordo come fosse ieri, avevo passato un intero mese in Calabria ad ascoltare i Blink 182, i Green Day e i Simple Plan, degli amici avevano messo su una cover band e le canzoni che suonavano erano sempre le stesse. Fu terribile, promisi a me stesso che mai più avrei ascoltato neanche mezzo secondo di una loro canzone.
A 10 anni di distanza, purtroppo, i casi della vita mi riportano ad ascoltare la musica della band di Travis Barker, Mark Hoppus e il nuovo leader Matt Skiba (Tom Delonge ormai è andato, partito alla ricerca degli alieni) e mi rendo conto del motivo per cui avevo deciso di abbandonarli per sempre. Ho concesso a loro 4, QUATTRO, ascolti, di cui l’ultimo sull’ennesimo lurido regionale di Trenitalia senza aria condizionata. Nonostante quest’ultima affermazione potrebbe portarvi a pensare che la mia recensione sia influenzata la risposta è no, il disco è una merda comunque.
Sono rimasto abbastanza allibito da come la band sia rimasta esattamente identica a sé stessa e non sia mai riuscita a fare un passo avanti dai tempi di Enema of the State (disco iconico e pur carino) che ai tempi, dopo tutto, rappresentava un’idea di punk anche piuttosto innovativa. Quest’ultimo progetto qui, a quanto ho capito, dovrebbe essere una sorta di concept album dedicato allo stato che ha dato i natali alla band, e infatti sparsi qua e là ci sono appunto richiami alla terra delle prugne sunsweet (tipo in San Diego, o nella stessa California). Il problema è che, appunto, per i Blink tutto si è fossilizzato ai tempi in cui su Mtv giravano i video con i pool party e i bicchieri di carta rossi.
Sono sincero, fatico a trovare una canzone che riesca a emergere dal resto, o con un minimo di carattere sul quale si possa discutere: il primo singolo, Bored to death, era anche carino di per sé ma se lo moltiplichiamo per 16 (il numero delle tracce dell’album) diventa veramente sfiancante, e pure un filino ridicolo. La cosa più incredibile è il reiterato utilizzo degli stessi identici giri di chitarra sentiti in What’s my age again (clamorose in questo senso She’s out of her mind, ma giusto per fare un esempio!), oltre ad un utilizzo dei testi risibile per 3 ragazzi ormai ben oltre la trentina (il futuro che rema contro e il giudizio degli adulti in No future, il pentimento post sbronza di Sober, la voglia “teen” di evadere in Teenage Satelites). Il disco è poi condito da un’infinità di “nananana” che rendono utili le canzoni al suo interno solo ed esclusivamente per essere trovate su Midomi.
L’unico momento piacevole, singolo di lancio a parte, lo ritroviamo nel ritmo di Los Angeles, ennesimo inno alla città degli angeli che, potenzialmente, vedrei benissimo per qualche colonna sonora a caso, magari (re)interpretata dai Fall Out Boy.
A chi mai potrà piacere un disco come California? I Blink 182 attualmente vantano un pubblico potenziale diviso a metà: da un lato i ragazzi della mia età, cresciuti con i poster di Cioè in cameretta, dall’altro i millenials malati di Snapchat che, per quanto decerebrati, potrebbero facilmente annoiarsi di fronte ad una musica che ormai (mi permetto) è superata. Presa così, la band ha senso di esistere solo per i più nostalgici, che ancora avranno piacere a cantare All the small things sotto ai 40 gradi di un festival estivo italiano a caso.
Cosa ne pensate di California dei Blink 182?
Tracklist
1. Cynical
2. Bored to Death
3. She’s out of Her Mind
4. Los Angeles
5. Sober
6. Built This Pool
7. No Future
8. Home Is Such a Lonely Place
9. Kings of the Weekend
10. Teenage Satellites
11. Left Alone
12. Rabbit Hole
13. San Diego
14. The Only Thing That Matters
15. California
16. Brohemian Rhapsody