Le Little Mix sono tutto quello di cui il pop mondiale aveva bisogno: è davvero raro, oggi come oggi, riuscire a trovare una girl band credibile e di successo, sembra infatti che i fasti della fine degli anni ’90 (le Spice Girls vi dicono niente?) e dei primi anni 2000 siamo ormai solo un vago ricordo e il concetto stesso di gruppo al femminile sia superato. Eppure, queste 4 giovani e bellissime interpreti sono riuscite, grazie (o nonostante) la loro partecipazione ad un talent, a ottenere un successo a dir poco clamoroso, costruito a partire da un pop fresco, facile ed estremamente radiofonico.
Il problema, purtroppo, è sempre lo stesso, ed è costituito da quel mercato commerciale che ti ingurgita e in un certo qual modo ti costringe ad impoverirti e a standardizzarti, pena la fine del tuo contratto multimilionario e, in ultima analisi, l’oblio: Glory Days, il loro quarto album, è in effetti una dimostrazione di quello che le LM sono state costrette a fare, piuttosto di quello che effettivamente potrebbero essere nella realtà. La band, composta da Perrie Edwards, Jesy Nelson, Leigh-Anne Pinnock e Jade Thirlwall, è infatti anche e soprattutto un’icona teen per migliaia di ragazzine, il peggior target possibile quando si parla di musica: quando si parla di ragazzine gli artisti, alla fin fine, ci ricascano sempre e più che scrivere e comporre del buon pop originale, scadono spesso nel cosiddetto candy pop, un errore che le LM hanno clamorosamente commesso, almeno questa volta.
Le 12 canzoni (più le 3 della versione deluxe) che compongono il disco, a mio avviso, mancano di quella personalità che in realtà le 4 giovani interpreti potrebbero benissimo avere: Glory Days è apparentemente perfetto nel suo essere orecchiabile e radiofonico, ma è anche soprattutto un disco vuoto e con pochi contenuti che, in alcuni momenti, ricalca in modo ossessivo dei cliché che hanno smesso di funzionare ormai 4,5 anni fa.
Se già questo mood generale si poteva intuire nella comunque piacevole Shout out to my ex (che ha il pregio di avere quantomeno un po’ di cazzimma, è infatti un j’accuse neanche troppo velato contro Zayn Malik, ex di Perrie) per il resto la band ripete la stessa struttura all’infinito, sfociando in alcuni momenti nella ripetizione ossessiva di parole e frasi (fate caso al finale della ballad Nobody Like You): nel disco sono infatti presenti i soliti, ormai insostenibili, riferimenti retrò già sentiti mille volte nei dischi di Charlie Puth e Meghan Trainor (presenti infatti in Oops, che include un fischettio allucinante, e F.U.). Va un pochino meglio quando, piuttosto che buttarsi sul pop, le Little Mix provano la strada (facile, in tempi come questi) dell’elettronica e della dance: Touch in questo senso (nonostante la banalità del testo, soprattutto nel ritornello) ) si lascia ascoltare con un certo piacere, e lo stesso possiamo dire delle distorsioni un po’ gangsta di Down & Dirty o nei ritmi sincopati di Power.
Per quanto riguarda le ultime canzoni del disco, trovo davvero difficile dare un giudizio completo ed esaustivo, ma vi basti sapere che sono scivolate via senza lasciarmi assolutamente niente (parlo soprattutto di Nothing else matters, Private Show e dell’abusatissima dancehall di No More Sad Songs).
Il problema principale dell’album è, in sostanza, quello di una quasi totale mancanza di personalità: le Little Mix, per quanto straordinariamente dotate come entertainer (recuperate il loro recente live ai Brit Awards) sono attualmente delle pedine in mano ad una casa discografica che è ben consapevole di non potersi permettere il lusso di osare, com’era invece stato con il loro secondo disco, Salute. Peccato, dico davvero: nel loro caso c’è un grosso talento, che purtroppo però con dischi come questo viene ridimensionato, o per non dire sminuito.
Tracklist
- Shout Out To My Ex
- Touch
- F.U.
- Oops Feat. Charlie Puth
- You Gotta Not
- Down & Dirty
- Power
- Your Love
- Nobody Like You
- No More Sad Songs
- Private Shows
- Nothing Else Matters
Deluxe
- Beep Beep
- Freak
- Touch (in versione acustica)