Eh già, eccoci ancora qua, arrivati alla cosiddetta seconda settimana santa dell’anno dopo il Festival di Sanremo, quella dedicata interamente all’Eurovision Song Contest, il Festival musicale più colorato, divertente, caciarone, a tratti trash del mondo (Coachella who?).
Ogni anno ci divertiamo a seguire la competizione per cercare di indovinare chi, fra la quarantina di paesi in gara, riuscirà ad avere la meglio, spesso e volentieri focalizzandoci su tutt’altre doti rispetto a quelle artistiche (l’avvenenza dei partecipanti, le coreografie, la scelta dei costumi, il livello di truzzaggine della canzone stessa) e creando gruppi d’ascolto memorabili che per alcuni diventano “la pizzata con rutto libero pre Eurovision” o per altri, come il sottoscritto forever alone, tweet-cronache senza esclusione di colpi che alla fine le dita ti si sciolgono.
Qualche sera fa, ho introdotto una mia carissima amica, che dell’Esc ne aveva solo sentito vagamente parlare, a questo pazzo pazzo mondo parallelo, spiegandole nel dettaglio il genere che andava per la maggiore e il tipo di canzoni che si sarebbe dovuta aspettare: il quadro generale che le avevo prospettato avrebbe fatto accaponare la pelle a qualunque bravo ragazzo che il sabato sera lo passa in Colonne (forse solo i milanesi capiranno) a fare jam sessions improvvisate con la chitarra sulle note di Bob Marley e De Andrè. Sostanzialmente, per chi è fuori dal giro, la competizione si basa su brani Eurodance, totalmente fuori contesto storico ma assolutamente perfetti per il concorso. L’ultimo esempio, ma solo in ordine di tempo, è stata la bella Heroes, vincitrice dello scorso anno, che è però rimasta assolutamente fossilizzata in quelle due o tre settimane di hype, per poi far scomparire il suo interprete e presentatore dell’edizione 2016 Måns Zelmerlöw nell’oblio dei selfie (perfetti, mannaggia a lui) su Instagram.
La parte dell’Eurovision che preferisco, comunque sia, sono in assoluto i testi: poiché è il secondo anno di fila che mi impegno a leggerli e soprattutto a tradurli tutti, sono entrato in un loop irresistibile, fatto da alcune delle migliori perle che la discografia mondiale ci abbia mai regalato. Sono proprio le liriche delle canzoni ad essere la vera perla trash del’Eurovision, che cammina sempre sul filo sottile fra realtà e finzione, favola e romanzo storico, magia, spiritismo e, soprattutto, tanta voglia di rivalsa e lealtà (una parola, quest’ultima, mutuata dalle migliori canzoni da cartoni animati di Cristina d’Avena).
Le favole appunto, non si contano (Fairytale è un brano del 2009 con cui la Norvegia trionfò, e lo stesso titolo ce l’ha anche una canzone in gara quest’anno) , ma anche i guerrieri impavidi (Warrior di Nina Sublatti fu uno dei pezzi più celebri della scorsa edizione) che non temono nulla, soprattutto se combattono per amore (vedasi i tuoni e i fulmini contro cui deve combattere il grande e grosso Sergey Lazarev, super favorito dell’edizione 2016). Ma non è certo finita qui: ai cantanti e soprattutto agli autori delle canzoni dell’ESC (per il 70% svedesi, a dimostrazione che il gene kitsch à la Abba non è mai morto) piacciono anche tantissimo le dame, i cavalieri, l’arme e gli amori [cit] , meglio ancora se le loro vicende sono appunto ambientate in contesti fatati o, magari, in lande desolate dove risuonano melodie celtiche iper fake.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=uiH4BFTELME]
Non è un caso in questo senso che una canzone trash come Grande Amore, che ha tirato fuori il peggior stereotipo italiano (l’uomo macho, l’uomo che ti promette che ti amerà per tutta la vita, l’uomo che ti fa innamorare con un semplice occhiolino e poi ti fa diventare una renna) avesse uno dei punteggi più alti da parte dei bookmaker: tanto più i paesi mostrano al mondo il loro lato macchiettistico, tanto più ci piacciono all’Eurovision. E poco importa se poi non vincono, sono i partecipanti più importanti perché contribuiscono a dare vita al carrozzone che tanto ci fa sganasciare. Indimenticabili, in questo senso, le nonnine russe dell’edizione 2012.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=WKNRGc71hjc]
In un contesto come questo viene davvero difficile pensare che un pezzo posato, intenso e profondo come No degree of separation di Francesca Michielin possa avere speranza di vincere, anche se per fortuna un suo trionfo all’Eurovision non è da escludere al 100%: se è pur vero che in questo baraccone ci piace ascoltare tanta DiscoRomania (il nome che un mio caro amico dava alle canzoni che ballavamo sopra al Tagadà) è altrettanto giusto pensare che, ogni tanto, la vera qualità che merita di essere premiata si possa ritrovare anche in chi si spinge un po’ più in là del –I’ll do anything for you, I want to look into your eyes-. E Franceschina, diciamocelo, in questo senso è decisamente molto avanti.