Ci sono volute settimane prima che riprendessi in mano Hopelessness, il disco di debutto di Antony Hegarty di Antony and the Johnsons ormai completamente trasformatosi nel suo alter ego Anohni: l’occasione è arrivata poche ore fa, quando la straordinaria artista si è esibita nel corso del Flowers Festival di Collegno, portando in territorio piemontese il suo talento inquietante e distruttivo. Ci ho messo un po’ perché è un disco difficile da affrontare, molto, e bisogna centellinare ogni parola per non rischiare di scontentare nessuno e di scivolare in commenti superficiali che, facilmente, si possono trasformare in cazzate epocali.
Ci troviamo in questo caso di fronte ad uno dei dischi elettronici più rischiosi del 2016, una piccola perla alternative da ascoltare con attenzione, lasciare macerare e riprendere (solo se ne si ha voglia) in un secondo momento, analizzando nel dettaglio i testi, che costituiscono la vera anima dell’album, ancora prima delle sue basi distorte e stranianti: Hopelessness, per quanto il termine possa essere stra abusato è in effetti un vero concept album che, come suggerisce il titolo, narra di un mondo oscuro e senza la benchéminima speranza di salvezza. Il pianeta nel quale ci siamo ritrovati a vivere è una giungla dove i corpi vengono strappati dalla madre terra (Why did you separate me from the earth?) e marciscono lentamente, soffocati da un sistema tiranno che non lascia loro scampo (nell’allegra, ma solo in apparenza Drone bomb me, Anohni chiede stremato di essere annientato da una forza esterna).
Il disco è in sostanza un chiaro j’accuse politico agli Stati Uniti d’America e al presidente Barack Obama (al quale viene dedicata un’intera canzone che suona quasi come un mantra buddista) reo di aver fatto tante belle promesse senza però mantenere nulla: l’America è lo stesso paese ad avere succhiato, letteralmente, le energie al resto del mondo (“Africa, Islanda Europa e Brasile, siamo tutti americani ora” racconta in Marrow) sbattendosene dell’ambiente e delle conseguenze delle proprie abitudini scellerate (4 degrees si riferisce al cambiamento climatico); d’altra parte, non dev’essere facile per il transgender Anohni vivere in una società così mascolina, patriarcale e, di conseguenza, violenta (ce lo racconta con gli inquietanti campanelli e il vocoder di Violent man). Le note delicate e la versatilissima voce dell’artista sono dunque un strumento funzionale a raccontare la contraddizione di un paese e un sistema malato, che giustifica migliaia di morti mentendo a sé stesso e, soprattutto, alla sua stessa popolazione (Crisis).
Raramente si sentono in giro dischi di questa caratura, anche se devo ammettere che gli ascolti, mano a mano, si sono fatti sempre più pesanti: ok alla sperimentazione e alla cazzimma, ma mi sento di dire che, per ora, siamo ancora lontani anni luce da certe cacofonie di, per esempio, Björk, che quando ha voluto fare le sue invettive si è sempre tenuta ad un passo da certe (piccole) forzature che invece ho sentito qui dentro. Hopelessness è un bel disco, che però credo renda molto di più se ascoltato in un’unica sessione, possibilmente dal vivo. Le emozioni della vocalità travolgente di Anohni e le decine di visi (fra cui quello da pantera di Naomi Campbell) che ti scrutano da dietro le sue spalle renderanno di certo molto più efficace uno qualunque dei messaggi contenuti in quest’album.
Tracklist
Tracklist:
1. Drone Bomb Me
2. 4 Degrees
3. Watch Me
4. Execution
5. I Don’t Love You Anymore
6. Obama
7. Violent Men
8. Why Did You Separate Me from the Earth?
9. Crisis
10. Hopelessness
11. Marrow