Sono le 20:36, ho appena effettuato ordine su uno di quei siti tramite i quali puoi farti spedire a casa la cena, senza manco doverti muovere, la quintessenza della pigrizia, in sostanza: il mio acquisto, come sempre contenuto, prevede una pizza e un calzone, entrambi luridi, e una coca. Perché, vi chiederete, vi sto parlando di pizza quando il titolo di questo articolo fa riferimento alla recensione dell’ultimo disco di Kanye West? Il fatto è che The Life of Pablo è lungo, complicato, snervante a tratti, e volevo capire se riuscivo a finire un pezzo che ho nel cassetto da almeno due settimane prima che arrivi il fattorino, che ci dovrebbe mettere un’oretta. Una sfida con me stesso, insomma.
Facciamo un passetto indietro, e non parlo della creazione del mio profilo Paypal: il disco ha una genesi molto complessa, esattamente come la psicologia del suo autore, che è allo stesso il numero uno dei cazzoni del rap mondiale e, purtroppo o per fortuna, anche uno dei più talentuosi. L’album doveva inizialmente chiamarsi So help me God, poi si è scelto di intitolarlo SWISH, poi ancora WAVES. A febbraio 2016 Kanye decide finalmente di confermare The Life of Pablo, rendendo successivamente il progetto disponibile solo sul suo fallimentare Tidal, facendone schizzare le vendite la prima settimana e, come da copione, facendole crollare quella successiva.
Già ho il mal di testa. Ma veniamo a sto benedetto Pablo: si tratterebbe nientemeno che di Picasso, artista al quale il cantante si sarebbe ispirato per creare una vera opera d’arte, ancor prima di un disco, come confermato durante una conferenza ad Oxford; c’è però chi pensa che Pablo faccia riferimento ancor più direttamente al buon Escobar, proprio quello di Narcos, e financo a Paolo l’Apostolo, nella sua versione ispanofona. In breve, uno pseudonimo un po’ santo, un po’ genio, un po’ stronzo. Esatto, proprio come Kanye.
L’esperienza di My beautiful dark twisted fantasy (acclamato dal mondo come uno dei migliori dischi degli ultimi dieci anni) e Yeezus ha certamente portato West a pensare di poter permettersi tutto quello che vuole, persino produrre un album che in certe parti si discosta dal rap tout court per trasformarsi in un genere indefinibile che ti fa aggrottare le sopracciglia a mò di WTF. Però funziona, pure bene, anche se è da prendere a piccole dosi.
Il disco parte benissimo con un pezzo magnifico, lungo e magniloquente che tende al gospel come Ultraligght beam, dove Kanye introduce il suo lato più spirituale (è qui che Pablo diventa “di Tarso”) e quella luce divina che, come il “collega” convertitosi al Cristianesimo, sembra averlo guidato; fra una preghiera evangelica e l’altra c’è persino spazio per le vittime di Parigi e per un riferimento a quella stessa Sia (My daughter look just like Sia, you can’t see her) che troveremo dopo nell’angosciante, straniante e bellissima Wolves.
Non tutto il disco è però così immediato: l’oscurità e la sperimentazione di Yeezus vengono qui forse portati all’estremo, fino a quasi a sfociare nell’indie: è questo il caso di FML, dedicata al rapporto con i media e gli haterz, del particolare groove di Fade o ancora nelle onde sonore di Waves, che non tradiscono mai (al contrario delle persone) e pensano soltanto a fluire, indisturbate. Questo signori miei, non è rap, è qualcosa di molto diverso. Certo, non che il disco non abbia delle solide radici “black” (vedasi Pt 2, che campiona un brano che mi fa venire l’orticaria come Panda di Desiigner, e infatti è il peggiore) ma è in ogni caso un momento di profonda riflessione e ripensamento sul genere da parte di Kanye West, che per quanto sia un idiota non dà mai niente per scontato, neanche la fama di cui parla nella controversa Famous, che necessita di una riflessione a parte.
Premesso che il pezzo ha una produzione e un flow che fanno invidia a Monster, chicca epica di MBDTF, ci troviamo di fronte in questo caso ad un singolo (in feat. con Rihanna) che ha fatto molto parlare di sé, in quanto al suo interno contiene un riferimento all’odiatissima e celeberrima Taylor Swift (I feel like me and Taylor might still have sex, Why? I made that bitch famous) rea di aver rubato il premio per il Best Female Video a Beyoncé durante gli MTV VMA’s 2009. Kanye che mette alla berlina la celebrità, come fatto anche nello scabroso video ufficiale del pezzo, è un po’ un controsenso, calcolando che fra le altre cose la moglie Kim Kardashian vive di una fama creata senza alcun tipo di talento. Tuttavia, il Kanye West che si mette in discussione ci piace, perché dimostra un lato umano e “terreno” che non ci saremmo aspettati.
The Life of Pablo potrebbe, e uso il condizionale per sottolineare un dibattito che qui si può aprire, costituire dunque il disco della sua redenzione, un mea culpa in formato musicale grazie al quale l’artista mette in vetrina le sue insicurezze: quando nella traccia conclusiva (Saint Pablo, piazzata non a caso) il rapper sciorina tutti i suoi problemi da “nigga” (la gente che scarica le sue canzoni illegalmente, i media che campano sui suoi deliri, le ferite e le cicatrici che nessuno sembra vedere) sta di fatto esplicitando quello che già avevamo intuito, cioè che il mix di genio e sregolatezza è davvero una merda quando ci devi convivere quotidianamente.
Ciò detto, Kanye West ci presenta questo viaggio di ascesa (divina?) e presunta redenzione con una varietà di suoni impressionante, che però possono confondere parecchio un ascoltatore non avvezzo; se vogliamo, The Life of Pablo è un po’ la versione rap di Anti di Rihanna, un disco che cerca parecchio di suonare alternativo con risultati che a volte sono clamorosi, altre volte portano alla ripetività e ad una conseguente sonnolenza. Un album da analizzare, ancor prima che da ascoltare, soprattutto se vi piacciono gli artisti che ad un certo punto perdono la testa e si sporcano un po’ le mani.
In tutto questo, sono le 20:31 e le mie pizze ancora non sono arrivate: se sono riuscito a completare questa faticosa recensione in tempi così (relativamente) brevi, significa che forse The Life of Pablo è un disco meno ostico di cui parlare di quanto avrei mai potuto pensare. L’unica certezza che ho per ora, in ogni caso, è che non lo riprenderò più in mano perché, sotto sotto, per ascoltarlo tutto ho fatto una fatica che ciao.
Tracklist
1. Ultralight Beam ft. Chance The Rapper, The-Dream and Kelly Price
2. Father Stretch My Hands Pt. I ft. Kid Cudi
3. Father Stretch My Hands Pt. 2 ft. Desiigner
4. Famous ft. Rihanna and Swizz Beatz
5. Feedback
6. Low Lights
7. High Lights ft. Young Thug
8. Freestyle 4 ft. Desiigner
9. I Love Kanye
10. Waves ft. Chris Brown
11. FML ft. The Weeknd
12. Real Friends ft. Ty Dolla $ign
13. Wolves ft. Vic Mensa and Sia
14. Frank’s Track ft. Frank Ocean
15. Silver Surfer Intermission
16. 30 Hours ft. André 3000
17. No More Parties In LA ft. Kendrick Lamar
18. FACTS (Charlie Heat Version)
19. Fade ft. Ty Dolla $ign and Post Malone
20. Saint Pablo ft. Sampha
Kanye West – The Life of Pablo: la recensione di Ziomuro Reloaded
Sono le 20:36, ho appena effettuato ordine su uno di quei siti tramite i quali puoi farti spedire a casa la cena, senza manco doverti muovere, la quintessenza della pigrizia, in sostanza: il mio acquisto, come sempre contenuto, prevede una pizza e un calzone, entrambi luridi, e una coca. Perché, vi chiederete, vi sto parlando di pizza quando il titolo di questo articolo fa riferimento alla recensione dell’ultimo disco di Kanye West? Il fatto è che The Life of Pablo è lungo, complicato, snervante a tratti, e volevo capire se riuscivo a finire un pezzo che ho nel cassetto da almeno due settimane prima che arrivi il fattorino, che ci dovrebbe mettere un’oretta. Una sfida con me stesso, insomma.
Facciamo un passetto indietro, e non parlo della creazione del mio profilo Paypal: il disco ha una genesi molto complessa, esattamente come la psicologia del suo autore, che è allo stesso il numero uno dei cazzoni del rap mondiale e, purtroppo o per fortuna, anche uno dei più talentuosi. L’album doveva inizialmente chiamarsi So help me God, poi si è scelto di intitolarlo SWISH, poi ancora WAVES. A febbraio 2016 Kanye decide finalmente di confermare The Life of Pablo, rendendo successivamente il progetto disponibile solo sul suo fallimentare Tidal, facendone schizzare le vendite la prima settimana e, come da copione, facendole crollare quella successiva.
Già ho il mal di testa. Ma veniamo a sto benedetto Pablo: si tratterebbe nientemeno che di Picasso, artista al quale il cantante si sarebbe ispirato per creare una vera opera d’arte, ancor prima di un disco, come confermato durante una conferenza ad Oxford; c’è però chi pensa che Pablo faccia riferimento ancor più direttamente al buon Escobar, proprio quello di Narcos, e financo a Paolo l’Apostolo, nella sua versione ispanofona. In breve, uno pseudonimo un po’ santo, un po’ genio, un po’ stronzo. Esatto, proprio come Kanye.
L’esperienza di My beautiful dark twisted fantasy (acclamato dal mondo come uno dei migliori dischi degli ultimi dieci anni) e Yeezus ha certamente portato West a pensare di poter permettersi tutto quello che vuole, persino produrre un album che in certe parti si discosta dal rap tout court per trasformarsi in un genere indefinibile che ti fa aggrottare le sopracciglia a mò di WTF. Però funziona, pure bene, anche se è da prendere a piccole dosi.
Il disco parte benissimo con un pezzo magnifico, lungo e magniloquente che tende al gospel come Ultraligght beam, dove Kanye introduce il suo lato più spirituale (è qui che Pablo diventa “di Tarso”) e quella luce divina che, come il “collega” convertitosi al Cristianesimo, sembra averlo guidato; fra una preghiera evangelica e l’altra c’è persino spazio per le vittime di Parigi e per un riferimento a quella stessa Sia (My daughter look just like Sia, you can’t see her) che troveremo dopo nell’angosciante, straniante e bellissima Wolves.
Non tutto il disco è però così immediato: l’oscurità e la sperimentazione di Yeezus vengono qui forse portati all’estremo, fino a quasi a sfociare nell’indie: è questo il caso di FML, dedicata al rapporto con i media e gli haterz, del particolare groove di Fade o ancora nelle onde sonore di Waves, che non tradiscono mai (al contrario delle persone) e pensano soltanto a fluire, indisturbate. Questo signori miei, non è rap, è qualcosa di molto diverso. Certo, non che il disco non abbia delle solide radici “black” (vedasi Pt 2, che campiona un brano che mi fa venire l’orticaria come Panda di Desiigner, e infatti è il peggiore) ma è in ogni caso un momento di profonda riflessione e ripensamento sul genere da parte di Kanye West, che per quanto sia un idiota non dà mai niente per scontato, neanche la fama di cui parla nella controversa Famous, che necessita di una riflessione a parte.
Premesso che il pezzo ha una produzione e un flow che fanno invidia a Monster, chicca epica di MBDTF, ci troviamo di fronte in questo caso ad un singolo (in feat. con Rihanna) che ha fatto molto parlare di sé, in quanto al suo interno contiene un riferimento all’odiatissima e celeberrima Taylor Swift (I feel like me and Taylor might still have sex, Why? I made that bitch famous) rea di aver rubato il premio per il Best Female Video a Beyoncé durante gli MTV VMA’s 2009. Kanye che mette alla berlina la celebrità, come fatto anche nello scabroso video ufficiale del pezzo, è un po’ un controsenso, calcolando che fra le altre cose la moglie Kim Kardashian vive di una fama creata senza alcun tipo di talento. Tuttavia, il Kanye West che si mette in discussione ci piace, perché dimostra un lato umano e “terreno” che non ci saremmo aspettati.
The Life of Pablo potrebbe, e uso il condizionale per sottolineare un dibattito che qui si può aprire, costituire dunque il disco della sua redenzione, un mea culpa in formato musicale grazie al quale l’artista mette in vetrina le sue insicurezze: quando nella traccia conclusiva (Saint Pablo, piazzata non a caso) il rapper sciorina tutti i suoi problemi da “nigga” (la gente che scarica le sue canzoni illegalmente, i media che campano sui suoi deliri, le ferite e le cicatrici che nessuno sembra vedere) sta di fatto esplicitando quello che già avevamo intuito, cioè che il mix di genio e sregolatezza è davvero una merda quando ci devi convivere quotidianamente.
Ciò detto, Kanye West ci presenta questo viaggio di ascesa (divina?) e presunta redenzione con una varietà di suoni impressionante, che però possono confondere parecchio un ascoltatore non avvezzo; se vogliamo, The Life of Pablo è un po’ la versione rap di Anti di Rihanna, un disco che cerca parecchio di suonare alternativo con risultati che a volte sono clamorosi, altre volte portano alla ripetività e ad una conseguente sonnolenza. Un album da analizzare, ancor prima che da ascoltare, soprattutto se vi piacciono gli artisti che ad un certo punto perdono la testa e si sporcano un po’ le mani.
In tutto questo, sono le 20:31 e le mie pizze ancora non sono arrivate: se sono riuscito a completare questa faticosa recensione in tempi così (relativamente) brevi, significa che forse The Life of Pablo è un disco meno ostico di cui parlare di quanto avrei mai potuto pensare. L’unica certezza che ho per ora, in ogni caso, è che non lo riprenderò più in mano perché, sotto sotto, per ascoltarlo tutto ho fatto una fatica che ciao.
Tracklist
1. Ultralight Beam ft. Chance The Rapper, The-Dream and Kelly Price
2. Father Stretch My Hands Pt. I ft. Kid Cudi
3. Father Stretch My Hands Pt. 2 ft. Desiigner
4. Famous ft. Rihanna and Swizz Beatz
5. Feedback
6. Low Lights
7. High Lights ft. Young Thug
8. Freestyle 4 ft. Desiigner
9. I Love Kanye
10. Waves ft. Chris Brown
11. FML ft. The Weeknd
12. Real Friends ft. Ty Dolla $ign
13. Wolves ft. Vic Mensa and Sia
14. Frank’s Track ft. Frank Ocean
15. Silver Surfer Intermission
16. 30 Hours ft. André 3000
17. No More Parties In LA ft. Kendrick Lamar
18. FACTS (Charlie Heat Version)
19. Fade ft. Ty Dolla $ign and Post Malone
20. Saint Pablo ft. Sampha